martedì 12 luglio 2011

Jakszyk, Fripp and Collins - A Scarcity of Miracles (A King Crimson ProjeKct ) (Panegyric, 2011)


Dal mio dizionario:
Miràcolo prov. miracles; fr.miracle; sp.milagro: port. milagre= lat.miràcolum cosa
meravigliosa da MIRARI meravigliarsi (v. Mirare e cfr. Miraglio.
Fatto contrario alle leggi della natura e prodotto per potenza soprannaturale;
fig. Cosa grande e meravigliosa o non sperata. (Differisce da Prodigio, che non oltrepassa i limiti della natura, della quale è al disopra il Miracolo) .....

tipo che Bruford torni a fare dischi e pure con i King Crimson o che per lo meno si unisca a Adrian Belew e Tony Levin al posto di Pat Mastelotto per i Three of A Perfect Pair, che esca un (vero) album dei KC con una formazione completamente rinnovata (che magari comprenda anche Danny Carey), che la Zappa Family Trust affidi i suoi affari e gli sterminati archivi dello Utility Muffin Research Kitchen a gente esperta e competente per la pubblicazione ragionata, che Ian Anderson mandi definitivamente in pensione il “marchio” Jethro Tull e faccia solo concerti acustici di piccolo cabotaggio, che l’Italia abbia una amministrazione pubblica onesta ed efficiente ... no qui neanche un intervento divino basterebbe ... qualunque siano (sacri o profani) i miracoli cui si riferisce il titolo dell’album di certo ce n’è sicuramente scarsità.

Tra le possibili metodologie di approccio a questo lavoro discografico ne scelgo due che ritengo le più adatte ad una migliore comprensione del discorso in generale e che potrà, volendo, soddisfare entrambe le parrocchie di pensiero in cui vorrete riconoscervi.

A SCARCITY OF MIRACLES il nuovo album dei KING CRIMSON

Sicuramente di scarsità non ce n’è nel catalogo della DGM. Il Venal Leader dal 1995 come per la moltiplicazione dei pani e dei pesci, produce live, raccolte di scarti, prog(KC)etti, tazzine, magliettine, sottobicchierini e qualunque cosa vi viene in mente avente come obiettivo “cose” collaterali ma sempre in qualche modo pertinenti, alla musica di sua Maestà Cremisi. Di album KC100% c’è davvero (forse per fortuna) scarsità. Ma noi, assettati e viziati, ci siamo condizionati ormai a considerare tutto ciò anche se pur lontanamente, qualcosa che è King Crimson, sia pure un’ombra o una luce sbiadita di colore Cremisi. Quindi è con serenità che dissipiamo ogni fuorviante dubbio e consideriamo questo A Scarcity of Miracles il nuovo album dei King Crimson.

Confezionato dalla grafica, intrisa di simbolismo cristiano ad opera del solito P.J. Crook, il lavoro, anticipato un mese prima dell’uscita da un (questo si) miracoloso videoclip, (il miracolo non è che l’abbiano fatto ma che sia bello ... no dico .. avete presente i video di "Heartbeat" o di "Sleepless"?) cancella quasi del tutto 38 anni di evoluzione Cremisi, lasciando solo i Soundscape a fare da motrice iniziale e quindi poi base alle nuove composizioni intrise di atmosfere pre Larks’ Tongues in Aspic. E’ come (cosa teorizzato da molti) se il periodo Wetton, Bruford, Cross fosse altra cosa e solo per motivi di mercato etichettata come KC e come (successo per davvero) se i Discipline all’inizio degli anni ‘80 fossero rimasti tali e non avessero usato l’etichetta KC per ragioni di mercato.
D’altronde in un mondo musicale dove tutti o quasi ormai rifanno i King Crimson post Island, l’unico modo che aveva Fripp per essere originale è di rifarsi al se stesso pre Larks’ Tongues in Aspic (però manca Peter Sinfield e si sente).
Andatosene via Mastelotto, restano comunque della formazione degli ultimi anni, oltre a Fripp, ovviamente, Tony Levin e Gavin Harrison (prestatogli da Wilson, ormai di casa).
A dare continuità al “precedente” Islands del 1971, torna in gran forma Mel Collins. I suoi meravigliosi fiati, passati nel frattempo attraverso metà dei dischi del pianeta hanno perso quella leziosità che avevano in gioventù, rimanendo “semplicemente” belli. I suoi sono momenti di aerea creatività, ottenendo di destarci dal torpore che la musica, quieta e riflessiva, in alcuni momenti rischia di farci calare.
Molto ipnotiche e seducenti le ritmiche ed i groove creati da due maestri del settore come sono Levin e Harrison. Su tutto, sotto tutto, immerso in tutto ci sono i soundscape frippiani e le cristalline pizzicate del nuovo arrivato Jakko M. Jakszyk (si pronuncia Jakscek) nome d’arte dell’inglesissimo Michael Lee Curran (in un mondo normale se ti chiami Jakszyk, prenderesti il nom de plume, Micky Curran). Infatti è questo il nuovo elemento che fa determinare la scelta a suoni cremisi del passato. Era dal 1981 che i King Crimson non potevano più definirsi una band britannica. Adesso con il solo Levin (di Boston) a fare da “straniero”, possiamo considerare Sua Maestà come “ritornata in patria”.
Il risultato più palese lo si riscontra nel cantato. La lunga era Belew ci aveva ormai abituati al tipico modo di cantare del midwest americano. Con Jakko abbiamo finalmente la figura chiave per riambientarci nei territori di un’ISOLA chiamata Albione. Sia chiaro, vogliamo bene ad ADE ed alla sua musica ma era da tempo che desideravamo andasse per la sua strada ottenendo il duplice scopo di coronare una interessante carriera solista (quella di lui) e di liberare il Venal Leader e di conseguenza permettere a Sua Maestà Cremisi di andare avanti e crescere e abbattere nuove frontiere. Ogni album dei King Crimson fino a ieri è stato l’evoluzione di quello precedente. A Scarcity Of Miracles se può essere definito "evoluzione” lo è solo di Islands però. Ci auguriamo che il prossimo gradino sia oltre.

Voto: 5

A SCARCITY OF MIRACLES il nuovo album di Jakko M. Jakszyk
In collaborazione con Robert Fripp e Mel Collins.

Polistrumentista, autore, cantante, produttore, turnista da studio, genero di Michael Giles e attore (l’ho visto anche lavorare al distributore di benzina qui vicino a casa mia ma solo occasionalmente), dopo collaborazioni (tra i tanti) con i Level 42 e David Jackson, diventa dal 2002 componente di spicco della 21st Century Schizoid Band, la cover band ufficiale di ex componenti dei King Crimson che dopo alcuni belli (e costosi) CD si sfalda per la morte nel 2007 del batterista Ian Wallace.
Non c’è da stupirsi quindi se tempo dopo lo troviamo chiuso in una stanza con Robert Fripp, entrambi chitarra alla mano. Ne nascono alcune session improvvisative a base soundsacape e cesellate dalla chitarra di Jakko. Un paio di queste le troviamo anche nella versione più lussuosa del CD uscito.

Come terzo di una coppia perfetta si unisce l’altro ex Cremisi e quindi ex 21st Century Schizoid Band, Mel Collins a dare quel valore aggiunto e quella “passionalità” che altrimenti mancherebbero alle gelide e cerebrali frippescapes. Da questo incontro a tre nascono delle registrazioni di sapore mediterraneo e intimo ai quali si aggiungono la mirabile batteria di Gavin Harrison (Porcupine Tree) e gli stick di Tony Levin (....mettete voi un nome a caso ...) i quali registrano però privatamente, ognuno a casa sua sulle basi dei primi tre.
La voce di Jakko, seppur in alcuni momenti un poco pedante, interpreta perfettamente l’intensità di queste ballate allargate come nella title track, ma in brani come "The Price We Pay" o "Secrets" la differenza tra una canzone, bella o brutta che sia ma pur sempre solo canzone, ed un brano musicale intenso ed universale viene data dal supporto fornito dalle meravigliose ed eclettiche svolazzate del sax soprano di Collins e dai ceselli raffinati e preziosi di Fripp. Levin e Harrison fanno un lavoro egregio e preciso ma non privo di creatività pur essendo solo degli esecutori esterni e non partecipando al processo creativo.
"This House" purtroppo non riesce a baneficiare della stessa sapienza alchemica dei pezzi precedenti, risultando solo una lunga e un poco soporifera ballata. Per fortuna la successiva "The Other Man" è di tutt’altra fattura. Dopo una prima metà inquietantemente notturna, ben contrappuntata dalla voce di Jakko questa volta dura e severa, il brano sfocia in un momento di grande intensità e carico di energia pieno di echi Cremisi che si conclude solo con il finale lasciato agli effetti frippeschi.
Chiude "The Light of Day", il brano più lungo dell’album. La soporificità è sempre li ad un passo dall’afferrarci e provenendo dal resto dell’album il rischio è più intenso.
Permettendosi una pausa di circa 5 minuti dopo il precedente ottimo brano, "The Light of Day" ne giova, diventando ipnotico e suggestivo, con le chitarre frippiane, sotterraneamente arrabbiate. Questa volta si.
“A Scarcity Of Miracles se può essere definito “evoluzione” lo è solo di Islands però. Ci auguriamo che il prossimo gradino sia oltre”.

Voto: 6

(Recensione di Donald McHeyre)

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