lunedì 28 settembre 2015

Alessia Luche - Talent Show (Bazee Records, 2015)

Con la produzione di Eugenio Ciuccetti, accompagnato come da copione da Raffaele Rinciari, la giovane cantautrice lombarda Alessia Luche si ritrova catapultata nel mondo del pop d'autore in maniera fulminea. "Talent Show" è difatti un disco molto fresco, in perfetto equilibrio tra i linguaggi che il pubblico italiano "di massa" è abituato ad assorbire quotidianamente dalle radio e quelle velature swing, jazz, funky, ma anche world music che la Bazee Records ha trasformato in un marchio di fabbrica. La voce è la vera protagonista, sovrastando gli arrangiamenti curatissimi con quelle linee melodiche di rapido impatto che tanto piaceranno ai meno colti. I più avvezzi al songwriting di estrazione alta percepiranno invece come preponderanti gli svolazzi degli strumentisti, tutti nomi ipernoti e di grande professionalità, in grado di dare ai brani una costruzione mai banale ma al medesimo tempo renderli scanzonati, allegri, per un gradimento ad ampio raggio.
"Trasformazioni di Me" è un pezzo perfetto come singolo, catchy, leggero, leggiadro, ma contemporaneamente incalzante e scatenato. "Io Vivo Nella Musica" è in tutto e per tutto una canzone di derivazione black, con i fiati a farla da padroni. Il picco più alto è però la meravigliosa cover di "At Last", prendendo come punto di partenza la versione del 1961 di Etta James, dove la brianzola duetta con la cantante ungherese Erika Kertesz, in uno splendido intrecciarsi di questi due timbri quasi contrastanti. Un elogio va fatto anche alla durata, non eccessiva, che permette di arrivare in fondo ai nove pezzi senza avvertire quel senso di pesantezza che sarebbe sembrato scontato con un minutaggio maggiore. 
E' un esordio stiloso, certo non adatto solo ad ascoltatori ad Alessia coevi, ma con riferimenti anche alla musica popolare italica che poco si è evoluta dagli anni settanta in avanti, diventando riconoscibile nel mondo proprio per dischi come questo. Che essere stata silurata da Amici di Maria de Filippi le abbia giovato? Questo ce lo dirà il futuro. Intanto "Talent Show" è un lavoro onesto, non troppo patinato, di classe, aperto a dinamiche più moderne che già si intravedono e che potrebbero ringiovanirne il sound con ottimi risultati. 

venerdì 25 settembre 2015

Il Boom - Così Come Ci Viene (Bazee Records, 2015)

Per chi non conosce Eugenio Ciuccetti occorre fare un breve sunto della sua carriera. Ostetrico e sociologo per formazione universitaria, collabora da sempre con la scena più tipicamente italica come autore e produttore discografico, ma ha all'attivo anche alcune esperienze di grande spicco negli Stati Uniti con il network CNN. Dopo il personale tentativo sanremese, datato 1997, alla kermesse più famosa del Belpaese hanno partecipato diversi artisti sotto la sua ala, e non è casuale la recente inaugurazione dell'etichetta Bazee Records, che pubblica anche questo lavoro. 
Il Boom è un progetto in cui Ciuccetti si avvale di artisti eccezionali, provenienti dal jazz, abituati con lo swing e la musica popolare nostrana. Con testi pericolosamente sospesi tra ironia, autobiografia e tentativi pseudopoetici, Rinciari riesce principalmente a dare lustro alla sua vocalità più che alle parole, che comunque risultano sopra la media dei dischi sentiti in questo periodo. La nostalgia di "Come Un Cartone Animato" arriva come un fendente e "Il Karma del Perdente" riesce a mettere il sorriso anche se congelato in un universo noir. E' interessante quanto pop risulti il disco pur conservando l'irregolarità e il nervosismo dei ritmi jazzati, e questo è senz'altro merito di un lavoro di composizione certosino e matematico. Molti ci hanno sentito Paolo Conte, ma appaiono più evidenti riferimenti a Sergio Endrigo, Rino Gaetano e perché no, Lucio Dalla e Renato Zero. Questo lavoro ha però la pecca di non lasciare il segno, scivolando via leggero e indolore, forse perché tutto ciò che lo compone è stato inciso, approfondito e sviscerato in lungo e in largo da decine di altri artisti italiani negli ultimi quarant'anni. Resta il fatto che il songwriting sia eccellente, senza sbavature, così come i suoni e le linee vocali, dando al pacchetto nel suo complesso un'aria molto classy. Non lo ricorderemo come un grande episodio di questo duemilaquindici, ma neanche come un fallimento completo. 

mercoledì 23 settembre 2015

Michelangelo Giordano - Le Strade Popolari (Autoproduzione, 2015)

Reduce da una contestata esclusione da Sanremo 2015, Michelangelo Giordano si presenta con questo esordio discografico possente negli intenti, un'irruzione che suona come un fulmine a ciel sereno sulla scena folk italiana. Armato delle tradizioni della sua terra, seppur trasferitosi a Milano, porta gli strumenti, le sonorità e le tipicità artistico-musicali della Calabria e del Mediterraneo al pubblico in maniera certamente non innovativa ma di sicuro impatto. Con "Le Strade Popolari" si può ballare, sculettare, divertirsi, ma anche abbandonarsi all'ascolto di un disco leggero, che non esagera - come si tende troppo spesso a fare nella scena italiana recente - con la politica, ma segue una via più da cantastorie istrionico, sincero e diretto. La levità nei toni è un escamotage acuto che consente di puntare il dito contro la mafia e l'omertà ("Non Cangiunu Li Cosi"), o di scendere, senza lamentosi e falsi piagnistei à la Barbara d'Urso, nel difficile terreno della cronaca tramite la storia di Natascha Kampusch. Degli undici brani rimangono però impressi nella memoria quelli più ironici, pungenti e mordaci, come "Il Paesino di Periferia", esempio lampante di composizione legata ai propri ricordi e alla propria patria, alla quale dedica con esplicita dolcezza un canto d'amore in "Sutta a Luna" e "Dolce e Amara", tra i momenti più trasognanti ed appassionanti. I pezzi puramente autobiografici risultano invece più oscuri, forse perché poco ancora conosciamo di Michelangelo, ma è palese come la grinta presente in questo album potrà portarlo a maggior notorietà con le prossime pubblicazioni.